Alessandra & Ludovico

Ca’ Inua

Alessandra e Ludovico sono una coppia di performers ed agricoltori. Abitano con le due figlie a Marzabotto, su un’altura che si erge a 710 metri sul livello del mare, regalando una vista spettacolare sugli Appennini e sulle loro valli. 

Il nome Ca’ Inua trae origine da “Kainua”, il nome etrusco di Marzabotto che significa “città nuova”. Allo stesso tempo, “Inua” in lingua Inuit significa “lo spirito incarnato nella materia”, l’essenza divina presente in ogni forma di vita,  mentre il termine “Ca’” è comune a tutte le abitazioni di questa zona degli Appennini.  Pertanto, Ca’ Inua diventa “la casa dove lo spirito si manifesta nella materia”.

Dopo una lunga strada sterrata, ci troviamo di fronte a una dimora caratterizzata da un’architettura unica: una fusione tra l’antica casa in pietra e una parte più moderna, contraddistinta da linee squadrate in legno e vetro.

Ci sediamo su alcune sedie di fronte alla casa, togliendoci le scarpe per sentire l’erba sotto i piedi. Il sole ci scalda il corpo mentre il vento della montagna ci accarezza il viso.

Ci raccontano di essersi conosciuti a Bologna, dove Ludovico studia comunicazione e poi un master in storia e cultura dell’alimentazione, mentre Alessandra si specializza in filosofia. Qui Ludovico, insieme ad altre menti creative, aveva fondato un’associazione culturale che si dedicava all’organizzazione di eventi di arte pubblica.

Nel 2012, Alessandra e Ludovico danno così vita al collettivo artistico Panem et Circenses, con l’obiettivo di esplorare la cultura del cibo come un atto culturale e mezzo espressivo.

Decidono poi di lasciare la città e di trascorrere insieme un anno in un agriturismo in Toscana, dove hanno l’occasione di innamorarsi dello stile di vita contadino. Decidono però, per verificare questa infatuazione, di sperimentare la vita in una grande metropoli, trasferendosi a Berlino, ma portando con sè la passione che hanno sviluppato per il tema del cibo.

A Berlino, avviano un servizio di catering che, lavorando in mostre e gallerie d’arte, utilizza il cibo come “strumento comunicativo attraverso il quale tradurre la poetica dell’artista in qualcosa da mangiare”.  

Tuttavia, ben presto si rendono conto di non sentirsi a loro agio con l’aspetto imprenditoriale del progetto, e decidono di tornare in Italia per condurre una ricerca artistica autonoma. Tuttavia, la crisi legata alla commercializzazione ed alla spettacolarizzazione del cibo aumenta, facendogli mettere in discussione le fondamenta stesse della loro ricerca. Nel 2014, a Torino, creano infatti una mostra intitolata “Il Cibo Uccide,” dove criticano apertamente la cultura gastronomica contemporanea.

Inoltre, in Italia trovano difficoltà nel far comprendere al pubblico le proprie performances, poiché l’attenzione si concentrava principalmente sul cibo stesso, invece che sul suo concetto.

Di conseguenza decidono di abbandonare la proposta di cibo fisico per concentrarsi su eventi e performances più concettuali, ampliando l’elemento relazionale dei loro progetti ed evidenziando l’importanza della comunità nel contesto del cibo.

Nel 2015, decidono di ritornare a Bologna dopo aver vinto il bando “IncrediBol” che consente loro di avere in comodato d’uso gratuito un piccolo studio a Bologna che chiameranno “C.A.C.C.A.” (Centro per l’Arte Contemporanea sulla Cultura Alimentare).  

Nel 2017 decidono di trasferirsi in Appennino, dove aprono un’azienda agricola e si dedicano alla coltivazione dei terreni. Questa scelta rappresenta un cambio di rotta significativo, poiché decidono di orientare la ricerca artistica sull’origine del cibo, per “risalire il fiume al contrario e concentrarsi sulla ricerca della vera essenza del cibo: la terra.” Infatti, è stata proprio la loro ricerca artistica a guidarli in Appennino, ma è stato l’Appennino stesso a influenzare ulteriormente la loro ricerca artistica.

I primi anni in montagna li mettono di fronte alla dura realtà: si trovano a gestire più terreno di quanto possono effettivamente coltivare, ed a lottare contro fenomeni climatici sempre più intensi e gravi mancanze d’acqua per l’irrigazione. Durante il loro lavoro agricolo sentono inoltre la forte mancanza di saperi locali che avrebbero potuto essere loro tramandati dalle generazioni precedenti se fossero stati del luogo. Formano infatti il loro sapere tramite lo studio e l’esperienza diretta ma, essendo ogni terreno unico, lo studio teorico non è sempre applicabile e l’esperienza diretta comporta errori e dispersione di energie che spesso risultano vane. Alessandra e Ludovico ci confidano di “essersi rotti le ossa nella centrifuga dell’agricoltura. Aprire un’azienda agricola partendo da zero è stato più un’atto artistico che un’atto imprenditoriale.” 

L’azienda agricola nasce infatti come dispositivo di arte relazionale, dove l’agricoltura è vista come dimensione di cura attraverso cui relazionarsi al luogo; negli anni scoprono poi che ciò che avevano a disposizione per sviluppare una simile relazione poteva essere (e volevano che fosse) l’arte e l’ascolto.

Ci rivelano che è stata proprio la possibilità ed il privilegio di avere a disposizione risorse economiche che gli ha permesso di non trovarsi costretti in una logica di produzione e di potersi quindi orientare su aspetti artistici e relazionali della vita rurale. 

Al contempo, essendo gli aspetti comunitari e collettivi sempre stati al centro della loro ricerca artistica, la dimensione di accoglienza ed ospitalità è per loro emersa naturalmente, portandoli oggi ad accogliere nell’azienda agricola turisti e viaggiatori internazionali. 

In questi anni hanno inoltre portato avanti un lavoro artistico intitolato “Are You Aware of Your Symbiotic Connection?”. Queste performances consistono in cerchi di consapevolezza, momenti di riflessione sulla simbiosi e la relazione interspecie, con il mondo vegetale ed animale. Attorno alla domanda-titolo si sviluppa una riflessione collettiva sulla consapevolezza della relazione simbiotica che le persone hanno con la natura, e cosa significhi “prendersene cura”. Questa domanda non ha una risposta univoca ed evolve continuamente. L’obiettivo è sviluppare in chi partecipa competenze di comunicazione ed ascolto con gli esseri che abitano il territorio, arrivando a vederli come soggetti, piuttosto che oggetti. In questo processo gli artisti si augurano che sia possibile per le persone cambiare il modo di pensare a sé stessi, di vivere, di abitare e di esistere nel mondo che ci circonda.

Guardando al futuro, Alessandra e Ludovico vedono una strada delineata dalla creazione di una comunità basata su una visione simbiotica con la natura. Dopo aver trascorso tre anni costruendo un’ospitalità che rifletta i loro valori, ora mirano a creare consapevolezza attraverso l’arte ed a collaborare più attivamente con la comunità locale. 

Tuttavia, sono consapevoli dell’importanza del trovare le persone giuste per costruire questa comunità. Dopo cinque anni di esperienza, hanno imparato che la cooperazione è fondamentale e che solo attraverso la comunità possono lavorare la terra in modo sostenibile. La loro aspirazione è “trasformare la sopravvivenza dei terreni in una vivenza condivisa,” dove ogni membro aderisca a una visione di relazione simbiotica e contribuisca alla cura e alla protezione dell’ambiente circostante.

Se vuoi contattare gli artisti:

http://panemetcircens.es/

agricolacainua@gmail.com

FB Agricola Ca’ Inua

IG ca_inua