Giovanni

Giovanni ha 35 anni, è cartotecnico ed agricoltore e vive a Grizzana Morandi con la moglie Agnese e i loro tre vivaci figli.

La casa di Giovanni è permeata da un connubio inconfondibile di amore e fatica, delusioni e speranze, desideri e paure. L’ampia dimora, un’antica costruzione intrisa di storia, si erge imponente e ospita oggetti che raccontano storie di vita di montagna e di crescita dei bambini. Posizionata accanto alla piccola chiesa di San Giovanni Battista a Tavernola, la casa gode del silente vigore della presenza della chiesa nel quotidiano della famiglia.

Seduti intorno al tavolo, proprio di fronte all’ingresso, Giovanni stringe tra le braccia il più piccolo dei suoi figli. Preparate ad ascoltare, ci immergiamo nei racconti di Giovanni, mentre le pareti della casa fungono da custodi di segreti, gioie e sfide che compongono il tessuto della sua vita.

Giovanni ha intrapreso gli studi nel campo del design, conseguendo una laurea triennale, per poi approfondire la sua formazione con il biennio presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, specializzandosi in scenografia.

Giovanni ed Agnese si incontrano nel contesto del centro sociale “Labas.” Mentre Agnese era già parte delle occupazioni del collettivo in cui viveva, Giovanni, proveniente da un periodo difficile e carico di rabbia, vedeva nel Labas un rifugio, un luogo dove poter reincontrare persone e vivere la sua condizione mentale senza subire alcuno stigma.

Decidono di andare a vivere insieme in una piccola mansarda di 24mq in via Mazzini. Giovanni ci dice che, nonostante lo spazio non fosse perfettamente abitabile, aveva un piccolo terrazzino con vista sui colli e che “a quell’età prendere casa insieme è stato un sogno.” Tuttavia, dopo la nascita della loro primogenita, Nora Iana, nel 2019 Giovanni sente il desiderio di abbandonare la città. Anche se Agnese è inizialmente titubante, col passare del tempo inizia ad accogliere l’idea di trasferirsi in montagna, alla ricerca di un luogo più adatto alla crescita della loro bambina.

Tramite amici trovano una piccola casa in affitto sulla collina di Monteacuto. Tuttavia, la casa si rivela troppo buia e piccola per la loro esigenze, essendo loro “grandi accumulatori di oggetti.” La famiglia decide così di bussare alla porta di Don Giuseppe Ferretti, il parroco di Grizzana Morandi, che gli propone di trasferirsi nello spazioso compendio di Tavernola, condividendolo in affitto con un’altra ragazza. Sono qui da 4 anni e, nonostante i molteplici problemi strutturali, come la mancanza di riscaldamento, hanno affrontato con determinazione i lavori che potevano gestire autonomamente, ad esempio il rintonacare i muri.

Giovanni ci confida che ha sempre sognato di trovare una casa di parrocchia,  poiché oggi sta seguendo un percorso religioso che, prima di stabilirsi qui, era in uno stato di stasi. Ci dice che “il destino ha fatto sì che bussare alla porta del parroco non fosse solo un’opportunità per trovare casa, ma si sia trasformato anche in un matrimonio ed un percorso religioso, un cammino nel pensiero sulla via del cuore.”

Agnese condivide che, inizialmente, ha incontrato difficoltà nell’integrarsi qui in montagna. Afferma: “Di base, sono una cittadina, e arrivando qui mi sono chiusa a riccio perché il cambiamento è stato enorme e repentino. Appena diventata mamma, sentivo la necessità di difendermi dagli altri.” Un altro ostacolo per Agnese è stato abituarsi all’uso degli strumenti tipici della vita di montagna, come tagliare legna e gestire la stufa. Inoltre, Agnese all’inizio sentiva la mancanza della socialità, della vicinanza e della facilità di accesso tipiche della vita in città, dato che non aveva la patente e quindi la possibilità di muoversi autonomamente. Nel corso del tempo, però, la diffidenza di Agnese ha ceduto il passo a una vita comunitaria centrata attorno alla chiesa ed ai bambini.

La comunità più ampia, quella che hanno contribuito a costituire e di cui sono parte, è quella della collina di Monteacuto, dove nel 2020 Agnese ha fondato una scuola dell’infanzia e materna. Si tratta di un gruppo educativo informale che si dedica all’educazione all’aperto.

Giovanni svela che i bambini rappresentavano il fulcro attorno al quale la comunità montana si radunava: i più piccoli erano la ragione stessa o il mezzo attraverso cui si esprimeva la socialità. Durante il periodo del Covid, i bambini hanno assunto un ruolo ancor più centrale nel programmare attività o incontri. Per un intero anno infatti, Giovanni è stato insegnante in un progetto educativo in cui i genitori, evitando di mandare i figli a scuola a causa delle restrizioni legate al Covid, hanno organizzato corsi per la prima e la seconda elementare.

Agnese condivide la sua visione della montagna come “un ritorno a una comunità femminile, un luogo dove donne e mamme possono dialogare, incontrarsi e condividere esperienze. Nell’ambiente montano, le madri si affidano reciprocamente i figli e discutono delle sfide che affrontano. A differenza della città, dove la maternità spesso si svolge in modo isolato o commercializzato, qui non ci si sente mai sole e c’è sempre qualcuna con cui condividere.” In aggiunta, Agnese ci racconta che nella zona la comunità favorisce uno scambio gratuito di vestiti e oggetti per bambini attraverso un “armadio solidale”, un luogo in cui è possibile scambiare o semplicemente prendere ciò di cui si ha bisogno.

Secondo Giovanni, è proprio la montagna a fungere da catalizzatore per la socialità. In questo territorio, la necessità reciproca è fondamentale: ci si affida agli altri, emergono esigenze di base e si instaura un aiuto reciproco, dove ognuno contribuisce con le proprie competenze.

Giovanni sottolinea che ha compreso appieno il significato di vivere in montagna solo dopo essersi trasferito: “anche se sapevo che gli Appennini sono antiche montagne, non capivo fino in fondo cosa comportasse diventare un montanaro.”

Giovanni ci racconta che vivere in Appennino richiede notevoli energie: “significa avere una forza al di là di quella necessaria per la famiglia e per sé stesso. Vivere in montagna è lottare quotidianamente con la natura per ritagliarsi uno spazio umano. Tutto qui è una sfida costante, dal riscaldare la casa al tagliare le piante che crescono incessantemente, volendo inglobare tutto.”

Nonostante le difficoltà però, Giovanni ci racconta che la proliferazione della vegetazione offre ricchezza di cibi come castagne, funghi ed erbe selvatiche, senza la necessità di coltivare. Questa abbondanza, unita al fatto che tutti i loro legami sociali si concentrano in questa zona, spinge la famiglia a cercare costantemente di ritornare alla loro casa vicino alla chiesa, anche se cinque giorni alla settimana vivono “giù nella bassa” a causa del lavoro di Giovanni nei campi.

Da molti anni, Giovanni si dedica alla ricerca nell’ambito della cartotecnica, concentrandosi sulla cinetica dei materiali cartacei. Il suo studio si focalizza sul movimento della carta, che può assumere forme diverse, dall’atto di girare una pagina ad altri movimenti vari. Giovanni è specializzato nella creazione di libri pop-up e con entusiasmo ci mostra un meraviglioso libro per bambini che narra la storia del pesciolino Flinn, risalente la corrente della vita. Giovanni condivide apertamente: “Sono in ricerca da una vita, non sono mai riuscito a guadagnare da quello che faccio perché per me è sempre stato molto faticoso concepire uno scambio equivalente tra l’opera d’arte e un suo possibile valore economico.” Tuttavia, vuole sottolineare chiaramente che non ha problemi a insegnare una tecnica artistica o a vendere un libro pop-up in cambio di denaro, poiché non considera queste forme creative come opere d’arte.

Esplicita che, per lui, l’arte è il linguaggio che consente agli esseri umani di dialogare con la propria spiritualità, nascendo dall’incontro tra l’essere umano e “qualcosa di superiore a noi.”

Il concetto di artista per Giovanni è legato al riuscire a trasferire la visione di questo attimo sacro nella materia della propria opera d’arte, seguendo ed evidenziando le “linee guida” presenti in tutto ciò che ci circonda. Questa prospettiva porta Giovanni a credere che si possa essere artisti solo per un attimo, in quell’istante in cui si dialoga con il divino. “L’arte sta nel saper vedere le cose, non tanto nel crearle. Spesso mi si accendono nella testa delle visioni che poi cerco di perseguire.”

Per Giovanni, l’arte rappresenta la capacità di ogni essere umano di percepire ciò che lo circonda in modo unico, che gli altri non possono comprendere appieno: “L’arte è personale e difficilmente condivisibile, è la nostra parte più intima della percezione delle cose; è come la follia: puoi farla vedere, ma nessuno capisce fino in fondo ciò che è.” Nonostante tutti possano vedere e contemplare, il senso del moto che spinge l’artista a creare esiste solo in uno specifico luogo e momento, non replicabile o visibile al pubblico. Inoltre, Giovanni è convinto che l’arte possa essere qualsiasi cosa, da una forma ad un semplice pezzo di carta, e che chiunque possa essere un artista.

Giovanni, oggi, coltiva il sogno di allargare i propri orizzonti artistici attraverso la collaborazione. Esprime chiaramente il suo desiderio di non essere più solitario nel suo percorso creativo.

Questa aspirazione si è recentemente avverata, poiché Giovanni sta in questo momento sta collaborando con gli artisti Domenico Trombetti, Andrea Pederzoli, Saskia Solomons e la piccola Nora Iana, in un residenza artistica settimanale a Camere d’Aria.

E’ qui che, Domenica 28 Gennaio alle ore 20:00, performeranno per voi “Aster,” spettacolo sperimentale tra luci ed ombre.

Ti invitiamo a unirti a noi per assistere a questo straordinario evento dove la creatività di Giovanni si fonderà con quella degli altri artisti in una sinergia unica!

Se vuoi contattare l’artista o vedere i suoi progetti:

Appletree@live.it

https://johnnyappletree-blog.tumblr.com